Quando il cuore sanguina mettici un cerotto (però colorato)

È il mese di Aprile, sono in ritardo, come sempre, e vado, affannata, a lavorare dalla mia Clara. Mentre scatta il rosso, dall’altro lato del semaforo li vedo.

Lui e lei. Ho appena ascoltato un suo audio nel gruppo whats in cui siamo tutti insieme, o meglio eravamo, prima che fuggissi anche da quel gruppo; e non mi aspettavo di incrociarli lì.

Lui, col suo bel sorriso scintillante da ragazzino, nonostante sia un uomo, le parla e lei lo guarda distrattamente. Ovviamente non mi hanno notato e ne sono sollevata.

Scatta il verde e non mi muovo. Ci vuole il clacson dell’auto dietro per farmi ripartire; rimetto in moto con la mia bella nube di pensieri in testa fino a destinazione.

C’era una lista che avevo fatto quando, tre anni fa, l’ennesimo Ohdeidell’Olimpoluièproprioquellogiustoperme mi aveva fatto capire con il suo silenzio che io non ero quella giusta per lui, la lista delle coppie: un elenco di persone vicine a me che mi sembrava vivessero un ammore con la A maiuscola, uno di quelli belli, dove si vive insieme ma non in simbiosi, quelle coppie che da fuori ti fanno provare un po’ di invidia mista a speranza, che se il karma ha premiato loro, prima o poi la ruota girerà anche per te.

Ovviamente questa lista è una roba un po’ da psicopatica immatura, lo ammetto.

La loro coppia, quella di lui e lei, invece, da fuori non mi sembrava degna di entrarci nella lista; troppe rotture, troppi dissapori, troppa vita ai miei occhi non condivisa, troppe crepe (la domanda che ancora mi pongo è… chi cazzo sono io per poter giudicare da fuori un ecosistema così delicato come una relazione?).

In una di queste crepe mi ci sono infilata io, circa tre mesi dopo quel semaforo. Questo è un dato di fatto. Non l’avrei mai immaginato, mai davvero, eppure è successo. Quando per me era diventato un peso essere nella stessa stanza con entrambi sono esplosa e mi sono fatta avanti. Non volevo fare tutto questo rumore, volevo solo togliermi un peso, scrollarmi un dubbio, eppure ho fatto cadere le pedine del domino. Sono caduta io, è caduto lui, è caduta lei. Non lo so se sarebbero caduti ugualmente, so che sarei potuta rimanermene tranquilla con le mie mirabolanti avventure da sfigata che cerca di arrabbattare un po’ di affetto e invece si impelaga in incontri da Tinder o, peggio, ferisce persone che non avrebbe mai voluto ferire.

Ma è successo, è cambiato qualcosa e con un po’ di presunzione e ancora mille sensi di colpa inutili dal mio punto di vista, l’ho fatto succedere anche io.

Quel che dovrebbe accadere ora non lo so. Ieri ero seduta al tavolino di un bar con un’amica e parlavamo di tre compagne di corso incappate in storie da cuscinetto: tu stai con lui, state bene, poi lui rivede lei, impazzisce e ritorna con lei. Forse fa parte della sfiga dell’archeologa (o del masochismo dell’archeologa, mi verrebbe da dire, certo è che la vita faticosa ce l’abbiamo proprio per deformazione). Mi ripeto che andrà tutto bene, che andrò avanti come sempre, anche se ho provato ad installare Tinder un’altra volta ma l’ho disattivato dopo 24 ore, di nuovo. Io sono quella che si dice forte, quella che non vuole tornare indietro nonostante ci sia tornata tante volte fino ad arrivare a dei punti di non ritorno dettati dagli altri, mica da me.

So che a questo punto il mio l’ho fatto. So che è bello quanto devastante avere i pensieri concentrati su qualcuno che con te non vuole starci, per motivi ragionevoli o meno, so che in fondo rimpiango quei tempi in cui il mio cuore era come una pietra muta, incapace di pulsare. Quante volte ho invidiato chi mi era vicino e aveva un cuore pulsante per qualcuno eppure, adesso che il mio batte ad un ritmo che non riesco a controllare, mi sento persa.

Oggi, quando sono uscita dalla doccia mi sono graffiata il petto, sotto il tatuaggio, all’altezza del mio muscolo involontario. Ci ho messo un cerotto, uno di quelli colorati, per bambini, gli unici che ho e che tollero. Mi sono vista allo specchio e ho sorriso.

cerotti

Ora ho un cuore rattoppato.

Poi sono salita su, ho preso quella stupida lista e l’ho strappata.

Non devo guardare gli altri, non devo prendere le loro storie da esempio nè devo lasciarmi condizionare da quello che mi viene raccontato.

Devo solo mettere una mano sul mio graffio, ascoltare e aspettare che si risani. Da solo.

(intanto premo Play)

Il mio regno per un tarallo

L’estate scorsa un ragazzo, durante una festa, verso le due di notte (l’orario e il luogo in realtà sarebbero irrilevanti se non per dare più carisma e sintomatico mistero all’intera faccenda), nonostante l’aurea di scetticismo che mi circondava, mi ha preso la mano e me l’ha letta. Beh, le linee contorte del mio palmo hanno detto che mi sposerò tra i 35 e i 40 anni e che farò il lavoro che ho sempre sognato.

Ottimo, direi. In pratica mi ha detto proprio quello che avrei voluto sentirmi dire: sull’età da matrimonio proprio nulla da eccepire, è quella, più o meno, ma stare qui a dirvi qual è il lavoro che ho sempre sognato, poi…non è così facile, dato che non lo so, ancora, a 26 anni.

Non me ne faccio un cruccio così grande nè mi vesto di vittimismo; semplicemente, forse, lo sapevo, ma mi sono distratta.

Al campionato mondiale di distrazione, se solo mi accorgessi di comedovequando  si terrebbe, potrei vincere il secondo premio, il primo no, perché mi distrarrei anche nello stare distratta.

Ho lasciato andare parecchie faccende delicate ed importanti, preda del Demone della Distrazione (si, è una palese copia del Demone dell’Inadempienza, mio altro fedelissimo compagno di vita); ma mi sono, allo stesso modo, difesa dalle insidie quotidiane: sono capace di rimanere da sola per giorni, per esempio, perché la Distrazione è una compagnia talmente invadente che non mi fa annoiare neppure. A volte è l’unica compagnia, dato che per distrazione non mi accorgo che magari a quel ragazzo un po’ troppo timido o forse impaurito dai miei modi da camionista interessavo, o quando mi sfugge completamente dalla testa l’impegno della serata, ricordandomene tardi, quando ormai sono stanca di prepararmi .

Non ho paura di rimanere da sola, o forse ho troppa paura di non rimanere da sola, il risultato non cambia.

Non sono un’asociale, nè ho qualche problema con la sessualità, o, almeno, non mi sembra.

Mi dà leggermente fastidio il contatto umano, ma nei limiti, ben lontani dalla psicopatia.

È che, forse, ho ancora priorità sballate.

E uno scarso senso della realtà, of course.

Pensate che una volta ho preso una busta di taralli come un pegno d’amore.

Erano proprio i miei preferiti e credevo che la cosa fosse una qualche coincidenza astrale dei miei stivali (certo…e tutto ciò non è successo quando ero un’adolescente, ma solo qualche anno fa).

Dal giorno della delusione, poi, persino il mio amore per i taralli è andato momentaneamente scemando. Molto momentaneamente, dato che mi sono ripresa in fretta, prestando fede alla mia mansione di sommelier non autorizzato di taralli: alla vista, al tatto, all’olfatto, oltre che al gusto, saprei distinguere e recensire qualsiasi forma e tipo di biscotto salato dalla forma circolare.

Di stì tempi…hai visto mai.