La sindrome dell’ Acierrina

gesù

“Io, poi, sono stata nell’ Azione Cattolica, non augurerei mai il male a qualcuno…”

“Potresti pregare Gesù affinché gliene faccia, tuttalpiù”.

Nella primavera del 1997 si sono succeduti un paio di avvenimenti che hanno irrimediabilmente segnato e condizionato la mia esistenza  forevah , per tutti gli anni a venire: mio zio Domenico mi regala un’audiocassetta e un cd di Lorenzo Cherubini e mia mamma mi iscrive all’Azione Cattolica. Tutto il resto è storia.

Quanto, sia Jovanotti sia l’associazionismo, abbiano deviato e condizionato la mia esistenza è ben visibile in quello che faccio, che dico, che penso. E dire che mio padre voleva iscrivermi agli scout, l’altro gruppo della nostra parrocchia, e io solo per ribellione alle imposizioni genitoriali ho preferito l’AC; pessima già da piccola, non c’è che dire.

Ho sentito alla radio che tutto quello che siamo, a livello di intelligenza emotiva, succede entro i nostri primi 15 anni, poi è solo un rimediare a quello che non doveva succedere ma è accaduto.

Ho frequentato assiduamente tutto il mirabolante mondo dell’attivismo cattolico fino al 2012, poi me ne sono completamente allontanata, ora ritorna, ad ondate. Succede che sei sul treno e ascolti divertita un ragazzo che racconta alle amiche di quando ad un campo scuola durante un momento di preghiera lui mangiasse, con la stessa solennità che solo un momento mistico saprebbe dare, pane e salsiccia sott’olio; succede che sei al centro di Roma e ricordi perfettamente tutte le gite e gitarelle fatte con il gruppo; succede che ti rivedi con quella tua amica che non vedi da gennaio e ti ritrovi a parlare delle nuove elezioni in diocesi; succede che le tue educatrici organizzino una cena/rimpatriata e ci vai con mille dubbi ma te ne torni a casa con la mascella che ti fa male per quanto abbia riso; succede che stanotte sogni di avere la gestione del gruppo giovanissimi, il mio unico pallino, per quanto riguardava il “fare carriera” in associazione.

Succede, lo fai succedere, almeno nella tua testa. In una provincia del cavolo come quella casertana le realtà parrocchiali salvano i ragazzi dall’apatia, fanno sviluppare un’emancipazione dalla famiglia durante i campi scuola, danno un’impronta mentale differente. So cosa vuol dire lavorare in team perché ho incominciato a “lavorarvici” a 8 anni, ho creato legami indissolubili, ho imparato l’iconografia dei santi, conosco un po’ la Bibbia, e sono una fan delle canzoni di chiesa. Sono cose che in un modo o nell’altro mi son servite anche quando il mio rapporto con il trascendentale era molto combattuto. Ora non riesco a credere che non ci sia nulla ma non posso piegarmi a quello che viene detto alle masse da certi preti balordi. Per me Gesù era una rockstar, comunista e “anticlericale” e da questa figura sono totalmente affascinata. Come lo sono di quei “preti di periferia che vanno avanti nonostante il Vaticano”. Essere prete, in fondo, se gli togli il celibato, è il miglior lavoro del mondo, peccato che il mondo ecclesiastico sia profondamente maschilista, perché le donne potrebbero risollevare e rivoluzionare questa chiesa sotto molti aspetti stagnante e ipocrita.

Ma no so se tornerò. Non lo so perché potrebbe essere un ritornare a un ambiente familiare per riesumare dei ricordi davvero belli (che, come gli anni andati, non torneranno più) e di questo ho molta paura, perché quello che più mi auguro, in questa vita, e di essere sempre una versione aggiornata di me stessa, manco fossi un sistema operativo.

La cosa divertente è che alla rimpatriata dell’altra sera, ad un certo punto, otto di noi su dieci hanno ammesso di aver desiderato iscriversi agli scout almeno una volta nella vita. E forse è questo quello che ci fotte. Mentre quelli se ne vanno in giro con i calzoncini e sono superconvinti ed orgogliosi di quello che sono, noi pensiamo sempre di aver sbagliato qualcosa.

E io tra l’orgoglio un po’ con i paraocchi e l’insicurezza perenne non so cosa sia meglio, eh.

Turnamme a’ casa

Turnamme a'
svegliarsi alle 6.30 e uscire sul ponte del traghetto per salutare il Vesuvio dal mare è stato il miglior benvenuto che potessi avere…sono tornata a casa, anche se casa è ovunque il mio cuore trovi pace.

Sono tornata da Catania ormai da due settimane…e credo di non scrivere sul blog da due mesi…lo so.

Non è stato voluto, ma sono stata catapultata in notevoli mirabolanti avventure che, come quando succede con gli spaventi forti, mi hanno lasciato senza fiato.

Due settimane e ancora sogno di stare sotto l’Etna. Mi sono innamorata di Catania e lasciarla per finire le cose che ho in sospeso qui, a Caserta, mi ha preso malissimo.

Tutto sta riprendendo con il ritmo di prima…tutto, tranne il mio cuore.

Chiure l’oucchie e nun ce pensà…turnamme a’ casa.

L’effetto Al Bano e Romina. Fenomenologia del ritorno a note spiegate

29 maggio 2015. A volte ritornano.
29 maggio 2015. A volte ritornano.

Io sono un po’ stronza, debbo ammetterlo, e come direbbe un mio amico “andrai all’inferno per questo” :  lo so e mi pregusto le fiamme di Lucifero. Sarà così anche perché durante questi anni di singletudine, forzata o no, ho sempre consigliato ostinatamente la stessa cosa a chiunque fosse stato mollato, avesse mollato, sia stato in quel perifrastico procinto di lasciare qualcuno: non tornare mai indietro. È stato il mio mantra per anni, quel “mai tornare indietro, neanche per prendere la rincorsa” attribuito ad Andrea Pazienza, ma poi rivelatasi una citazione di Che Guevara, io lo scrivevo ovunque, tanto che dopo aver fatto il Cammino di Santiago mi son fatta tatuare pure una freccia disegnata sotto il polso sinistro per ricordarmi che la direzione giusta è sempre e solo quella in avanti.

da
da “Le straordinarie avventure di Pentothal”, pag 86

Eppure, eppure la coerenza ogni tanto si allontana dalle mie parti e, come una punizione karmica, quanto più io sia ostinata a fare la femmina vissuta e a consigliare a chicchessìa che tornare indietro è come regredire, tanto più la vita (o la mia demenza senile precoce) mi fa mordere la lingua e mi fa imbattere in veri e propri fantasmi. Li avevo citati nel post precedente perché, appunto, come uno di quei temporali estivi inconcludenti, l’aria era insopportabilmente umida e appiccicaticcia già da un po’ di tempo e, ora che i lampi ed i tuoni son spariti e mi sono presa un raffreddore per l’acqua presa senza ombrello, tutto è tornato più caldo stagnante e insopportabile di prima.

Secondo me è tutta colpa di Al Bano Romina Power: mi son guardata bene dal rimanermene attaccata alla televisione la sera della loro, ormai storica, serata all’ Arena di Verona ma quel riproporsi nei giorni seguenti delle scene più succulente tra sguardi di intesa, balletti a due e (finta?) affinità perenne, nonostante la Lecciso, nonostante i mille anni passati lontani, devono aver lasciato una traccia nel mio cervellino bacato (giusto perché continuare a dare la colpa delle proprie azioni agli altri, soprattutto se sono esseri mitologici della cultura musicale/televisiva italiana, ha sempre quel fascino a cui io non so arrendermi…giammai!)

Quindi, visto che l’ironia è l’unica via ora e sempre, fratelli, dopo una settimana ad arrovellarmi il cervello e a sentir sbattere i pensieri nella mia testa come falene verso la luce, son qui a cercare di fare i conti con quei fantasmi che ho tentato di richiamare dall’oltretomba, non per affrontarli: onestamente ora non ne avrei nemmeno la forza psicofisicamorale, ma per rintanarli di nuovo sotto il tappeto, nell’angolo più remoto del cassetto dell’armadio, in quella scatola in cima alla libreria; sperando di avere la forza di lasciarli lì anche la prossima volta che mi sentirò “sfhola e abbandonata” .

E dato che in queste situazioni non c’è nulla di più confortante della musica e della scrittura son qui a cercare timidamente di convogliare le falene sbattenti della mia testa in una supermegafantaclassifica a note spiegate:

#1. Fiori rosa, fiori di pesco: il ritorno ritardatario

c’eri tu. Appunto, c’ero.

Tralasciando il fatto che ho appena scoperto che questa canzone ha giusto 45 anni, è stata pubblicata l’8 giugno 1970, potrebbe essere stata scritta dal grand master Mogol e dal nostro caro angelo Lucio anche ieri ma il succo non cambia; io dalla prima volta che l’ho ascoltata immagino sempre lei che non può fare altro che dir questo:

“Sei arrivato in ritardo, Ciccio…Sì, mi stanno tremando le mani, ma togliti immediatamente dalla testa che sia per l’emozione di vederti; piombi così, nel bel mezzo della notte, come uno stalker, a casa mia…anzi, onestamente forse non avrei proprio dovuto aprirti…ho aperto solo per carità cristiana perché, in effetti, non avevo nemmeno ben capito chi cacchio fosse alla porta e credevo chissà cosa fosse successo…

Come dici? Solo credevi di volare e non voli? Eh, ma dopo un anno cosa pretendi che ci possa fare io?!? Ecco, hai svegliato pure il mio moroso, ora mi tocca pure spiegargli chi sei…Vabbè, dopo un immaturo come te me lo son preso un po’ più grande, ma ora on chiamarlo signore mi sembra un po’ esagerato…Sì che siamo stati lontani ed oggi è oggi e domani, lo sai meglio di me, è un altro giorno, solo questo posso dirti che è vero…”

Finalmente lui si rende conto che sta davvero sfiorando il ridicolo, lei riesce a cacciarlo via, si chiude una porta e si apre decisamente un sorriso.

#2. La descrizione di un attimo: il ritorno paraculo

…ci rivediamo presto, tra almeno altri cinque anni. E menomale che ti ha fatto piacere rivedermi.

Quando penso agli anni 2000 mi vengono in mente i miei 12 anni e tutte le situazioni del caso; è inutile che scriva alle nuove generazioni e che ribadisca alle vecchie quanto era bello il mondo quando MTV era un canale solo e solo musicale.

Questa canzone in me risveglia quelle sensazioni da TRL o Hitlist Italia: non potrò mai essere obiettiva.

Eppure, con tutti i sentimentalismi del caso, generati dal proficuo sodalizio Zampaglione-Sinigallia io questa canzone debbo includerla nel ritorno paraculo.

È evidente che qui ci troviamo davanti ad un frequente caso di homo mestruatus che, come tutti i suoi simili, vive quel particolare periodo del mese di 28(29)-30-31 giorni al mese:

non si capisce dove si vuol andare a parare, l’homo ci tiene a dirmi ad inizio canzone che non mi vede più come un tempo,

“le convinzioni che cambiano e crolla la fortezza del mio debole per te” 

mi fa piacere, anche se non ti avevo neppure chiesto ancora “come va?”;

poi via con lo sminuire il povero cristo che sta con me con “anche se non sei più sola, perché sola non sai stare e credi che dividersi la vita sia normale” , scusami se mi sono rifatta una vita…

meno male che la memoria dell’homo scivola sul “Viale della Rimembranza” che rende tutto più luccicante, non senza una dose di cazzimma l’homo mi fa presente che, nonostante nel 2000 facebook fosse solo nei sogni più reconditi di Zuckemberg, lui sa: “mi hanno detto dei tuoi viaggi, mi hanno detto che stai male, che sei diventata pazza ma io so che sei normale” , sinceramente credo che i conoscenti che abbiamo in comune siano degli stronzi, ma grazie perché confidi ancora nella mia salute mentale.

Con queste premesse io, personalmente, non saprei proprio cosa rispondere ad un homo mestruatus, menomale che conclude lui la conversazione con la più paraculo delle frasi che si possano dire: “aspettami oppure dimenticami” (???) e quel “ci rivediamo presto, tra almeno altri cinque anni” che suona tanto come una minaccia: a stò punto credo che possa sopravvivere egregiamente altri 50 anni senza incrociarti più, grazie per avermi detto “come sempre sei bellissima” ma davvero attimi così non vorrei né descriverli né viverli più…e cerca di non starmi così vicino perché altrimenti rischiamo che il mio ciclo si sincronizzi col tuo.

#3. Qualcosa di meglio: il ritorno tenerello

…possiamo riguardarci negli occhi. Ma non troppo, però.

Partendo dal presupposto che ho avuto modo di fare qualche incontro ravvicinato con Niccolò Fabi ed è davvero così dolcino e tenerello come sembra, non c’è da meravigliarsi se per lui rincontrare una ex sia davvero come dovrebbe essere:

“quella cosa non c’è più, possiamo riguardarci negli occhi”, questo è un incontro maturo, pieno di tenerezza per il bene che c’è stato e che ci sarà comunque, anche se il loro cammino li ha portati a prendere due strade diverse:  “se non fu amore il nome non so dirti qual è ma almeno durerà per sempre” .

Lui le dice “chiamami tranquillamente se ti mancheranno le mie vene” ma sa benissimo che lei non lo farà, che adesso c’è qualcun altro, che la vita almeno stavolta è andata avanti.

Ho sognato tante notti di affrontare un incontro con questa verve e forse non ci sono mai riuscita davvero: ogni volta l’immaturità aveva la meglio e spuntavano frecciatine cattive e un inutile e stupido desiderio di rivalsa che inaspriva i toni e rendeva ridicolo e inutile l’essersi visti.

Niccolò sa anche che una situazione così delicata come questa, con le proprie difese davvero abbassate non può durare molto: “ è stato molto bello rincontrarsi ma l’insicurezza sta per tornare, ti bacio e ti saluto, ora devo andare via“;  forse non si rincontreranno per molto altro tempo, ma la vera cosa che conta è quella sensazione di affetto e di serenità che aleggia su loro, sulla propria vita di adesso e su tutti i ricordi del passato.

#4. La lontananza: il ritorno immaginario

…ciao, non piangere, vedrai che tornerò. Voglio sapere il giorno e l’orario preciso, che magari non mi faccio trovare.

Il 1970 deve essere stato proprio un grande anno, ci sarà stato qualcosa nell’aria: forse le polveri dei cantieri che nel nome dell’abusivismo edilizio cementificavano le nostre campagne senza ritegno né onore, forse lo sventolio delle mazzette e tangenti che ci hanno rovinato per tutti gli anni a venire, sarà, ma ecco un altro pezzone proprio di quell’anno.

Qui, oltre a tutti gli innumerevoli problemi che una coppia solitamente deve affrontare, ci si mette anche la logistica: lui sta per partire e dato che, come asseriva il buon Lello Montaigne (se non avete visto “Ricomincio da tre” rimediate immediatamente!), “chi parte sa da che cosa fugge ma non sa che cosa cerca” , l’amico Modugno forse ignorava che, dopo un anno sarebbe stato ancora lì a rimurginare sulla cazzata commessa nel lasciare la sua bella e nel maledire la distanza, “adesso che è passato tanto tempo darei la vita per averti accanto“.

Per me il ricordo di una persona lontana buttato così, come un sentimento volante o, addirittura, come una spada di Damocle sulla testa è un po’ una scusa: è come fare l’amicone con quel tuo amico che mal sopportavi nella quotidianità ma che dopo la sua partenza per lavoro stai lì a mandargli tutti i giorni emoticons con cuoricini dicendogli quanto ti manchi.

Sarà che mentalmente sono un po’ tarata, ma a me le cose sospese ed aleggianti non piacciono; ho creduto sempre, forse erroneamente, che il cuore, prima di ogni altra situazione, se sincero debba spingere l’agire. Ma un agire deciso e non pieno di paroloni retorici.

Per me dire certe cose e poi non comportarsi di conseguenza è peggio che non dirle.

Per questo son qui, alla tastiera, sperando che questa confusione mentale passi presto e che, al di là delle pippe del caso, possa rendermi conto ogni giorno di più che quello che deve succedere, succederà.

E poi, come direbbe il buon Giovanni Truppi:

“che banalità
tutte queste cose che pensavamo fossero
solo nostre alla fine le vivono, le piangono
(sentendosi tra l’altro unici) diecimila altre
coppie di cazzoni”

19 Gennaio, una grande canzone di ritorni anche questa.

Ergo, seppur il ritorno porta addosso mal di testa e mal d’anima, di ritorno non è mai morto nessuno.