Disamore e altri rimedi

disamore

Prima che la mia famiglia si trasferisse in questa casa, nella nostra casa, io sognavo di vivere proprio qui, soprattutto da bambina: era la casa dei miei nonni, la casa dei giorni più felici della mia infanzia, la casa perfetta per chi non vuole usare l’auto, scendi di casa e il tabaccaio, il panettiere, la pizzeria, sono a tre passi.

Poi, questa vecchia casa di inizio Novecento è diventata davvero nostra. E nonostante sia felice di questo grande traguardo della mia famiglia, dopo anni incerti, ci sono e penso che non ne sono più innamorata. Quando ero piccola era perfetta, ora no: non solo perché gli occhi del bambino amplificano tutto, ma perché dopo anni di discussioni familiari questa casa per me ha perso il suo valore. Doveva unire e invece ha diviso. E io non sopporto quasi il fatto di abitarci.

Succede così anche con le persone, con le passioni, con le buone abitudini, con i tatuaggi (ma allora perché continuo a farmene?!?) con gli oggetti/feticcio a cui ci aggrappiamo tenacemente per un pezzo di vita, per poi dimenticarcene gradualmente. Disinnamoramento lento.

Come una reazione speculare, se sono una tipa da innamoramento facile ma Amore lento (perché son sempre una di quelle ragazze romantiche che scinde l’innamoramento dall’Amore), altrettanto sono una tipa da disamore facile e disinnamoramento lento.

La parabola è discendente e spesso discendiamo senza freni, dritti, in picchiata, verso il suolo. Miracolosamente mi rialzo sempre in piedi, però.

Andando ad analizzare la situazione malsana e bacata più o meno i quattro stadi procedono così:

  • Prima fase: “Quando ero piccola mi innamoravo di tutto, correvo dietro ai cani” (e non è cambiato niente). Innamoramento facile . Si salvi chi può.

Ovvero: hai l’emotività e la maturità sentimentale di una pre-adolescente, lo sai, ti riprometti che smetterai, che ormai sei vicina-vicina così ai 30 anni ma le tue botte di propositivià fanno sì che incontri uno, ti iscrivi ad un nuovo corso di tiptap, leggi un aforisma dalla dubbia provenienza su facebook, ascolti un bel pezzo e la tua vita riacquista un senso (e meno male). La vita è tutta un yeeeeeeeeah!/ abbiamo in comune il fatto che ci piaccia Filippo Timi, ti rendi conto? siamo perfetti insieme/ ma come ho fatto a sopravvivere fino ad oggi non conoscendo la mossa super segreta della taranta del sud est del Gargano?

Mi pare di sentirla, quella voce della pubblicità: “ti piace innamorarti facile?!? ponsciponscipopopò” … Eccomi, presente!

  • Seconda fase : “Ma se tu ci stai, ci sto… perché ti voglio bene un po’ . Amore lento. Gente che fugge quando gli consegni il cuore tra le mani ne abbiamo? A’ zeffun, a’ beverunn’, a migliara (scusate ma il tocco trash mi esalta).

ciuf ciuf

Ho la lancetta dell’Amore talmente tanto pesante che non si alza mai. Oppure ho un’idea distorta dell’Amore che non si rispecchierà mai nella pratica. Il risultato non cambia. Esaltarsi per poco ma metterci tre anni per fidarmi di te e aprire il mio cuoricino-ino-ino. Intanto tu ti sei scocciato di stare con un’insicura e mi hai mandato a cagare alla terza settimana di tentennamenti pure per decidere su quale prato andare a mangiare la pizzetta che abbiamo comprato per pranzo. La mia canzone sull’argomento è Quando sarò capace di amare di Gaber e quando la riascolto il cuore mi si scioglie. Quando sarò capace di amare sarà tutto naturale, come un fiume che fa il suo corso . Perché se lui è quello giusto, lo decide lui dove andare a mangiare quella benedetta pizzetta, senza ascoltare i miei tentennamenti da pseudosociopatica. Questo è.

  • Terza fase : Disamore facile . “Quando ormai sono venuto ti guardo e penso che posso vivere anche senza di te” . Sei più “crudele” di Hannibal the Cannibal e non lo sai.

Nonostante, quindi, l’esaltazione incipiente per quel nuovo personaggio che riempie le mie giornate, per quel nuovo corso di tiptap, per quel nuovo gruppo musicale, tutto passa. Ho la passione bloccata, non riesco a farla uscire fuori sulla lunga distanza, anche quando so che ne varrebbe la pena, anche quando so che qualcosa di più congeniale alla mia indole non potrei trovare. Pigrizia? Scarso senso della realtà? Fuga continua dalle responsabilità? Forse tutto ciò, o forse no. Forse è così che va. L’importante è cercare di non farsi trascinare dagli eventi e avere sempre il timone della zattera che ci sta portando a largo. Almeno un po’, dai. In fondo se ti sei messa sulla zatterà è perché rimanere in spiaggia era troppo noioso.

  • Quarta fase : Disinnamoramento lento . “It’s been a long time, long time now since I’ve seen you smile”. É passato solo un anno (magari fosse solo un anno) e lui, che mi ha lasciato, sta uscendo con un’altra, ti rendi conto?

Il mio odio/amore per le situazioni sentimentali nuove mi fa pensare che rifuggendomi con il pensiero in quelle che risalgono all’età del bronzo possa stare meglio. Sappiamo tutti (o almeno io, ormai, ne sono ben cosciente) che nella vita reale, quella che è fuori dalla mia testa, la cosa più stupida che si possa fare sia pensarci ancora. Per fortuna, sembra incredibile, ma davvero non sto più pensando a tutte quelle situazioni malsane che mi bloccavano i pensieri; tutte le storie vecchie e tutti i punti rimasti sospesi con chi non è diventato una storia ma da queste parti è passato comunque. Forse è merito del fatto che da quando lavoro con Clara mi si è un tantinello spostata l’asticella del dolore e quella della lagna libera. Se hai a che fare tutti i giorni con una ragazza che ha avuto un gravissimo incidente e vede, ma soprattutto tocca, il mondo attraverso gli altri qualcosa dentro ti cambia.

Il disamore diventa, così, giorno dopo giorno di nonpresenza mentale, il rimedio perfetto per la Libertà più pura, quella di pensiero.

E voglio concludere ricordando Lorenzo Amurri, scomparso qualche giorno fa:

“Libertà di pensiero è Libertà di movimento”

L’ammore overo (il vero amore non è mai una spina nel fianco)

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Stanotte l’ho sognato, un’altra volta.

Non sopporto questa cosa, perché finalmente sono riuscita a mantenere quell’indifferenza zen durante il giorno ma… la notte, per me, è ingestibile.

É una roba che, poi, mi rovina la giornata seguente perché più che pensare a lui, penso al sogno…”che vorrà dire?“…vorrei che la me lucida e razionale (che poche volte alberga in me, ammettiamolo) rispondesse in fretta: “semplicemente che non devi mangiare mezzo pacchetto di patatine mezz’ora prima di andartene a dormire, se vuoi avere sogni sereni…” …

Già, perché i sogni con lui non sono sereni e nè lo sono stati, a mia memoria.

E allora mi guardo dentro e penso che “ammore“, lui, non lo è stato mai.

Mi piacciono le coppie attempate, quelle mature, quelle che si concedono gesti affettuosi, ancora, dopo trent’anni di vita, di sopportazione, insieme. Se sono così carini da vecchi, immaginiamoci da giovani.

E allora, poi, mi viene da pensare al perché molte persone a me care e me stessa, per prima, si accontentino di un amore di serie B, un amore spina nel fianco, un amore tanto croce poca delizia, un amore da visualizzato e non risponde?

Io non ce la posso fare. Ho fatto così tante cose stupide in nome dell’amore che credo di essermele bruciate tutte… basta.

Mi basto.

E se lui dovesse ritornare nei sogni… che ritorni. Io, però, nella vita reale non lo aspetto, da un pezzo.

Ps: non so di che sostanza sia “l’ammore overo”, ma so che avrebbe di sicuro questa colonna sonora:

 

 

In Amore vince chi fugge. Meglio se all’estero. Meglio ancora se in un altro continente.

la distanza
una citazione di un film di Antonioni ambientato in Sicilia come prima pagina de “La Distanza”, una graphic novel che la scorsa estate mi ha esaltato tantissimo perché pareva essere scritta sulla falsa riga delle mie mirabolanti avventure. Escluso lieto fine, ovviamente.

Quasi tutti gli appartenenti alla categoria uomini/mezziuomini/uominicchi con cui ho avuto (oppure avrei voluto!) avere a che fare, negli ultimi tempi, per qualche strano scherzo del destino, ora sono quasi tutti emotivamente e geograficamente lontano da me. Ce n’è uno che vive in altissima Italia, quasi verso il confine, uno si barcamena tra il Lazio e la Toscana, un paio sono dislocati nella bassa padana, uno è addirittura andato a fare il cervello in fuga nel bel mezzo del cammin di nostra Europa. Insomma, qui, a portata di mano e di malinconia, sono rimasti solo gli appartenenti alla categoria degli “ex felici“, quelli che nella tua testa non ricordi più neppure di esserci stata insieme e che, in fin dei conti, incontrarli per caso ti farebbe solo piacere. Gli altri, quelli di cui sopra, invece no. Gli altri li vorresti incontrare, con piacere, sotto le ruote della tua vecchia Panda, che dimostrerebbe di essere ancora l’auto bestiale di un tempo.

Non credo che i fuggitivi siano andati via perché volevano allontanarsi proprio da me, non ho avuto così tanta importanza nelle loro vite, ma ringrazio la crisi di avermeli tolti dal mio raggio di azione fisico e virtuale (perché ho perso spesso la dignità in messaggistica instantanea e non, ma l’ho fatto sempre sapendo che avrei potuto, in questo modo, fare talmente pena da suscitare un incontro dal vivo; se abiti ad almeno 200 chilometri da me, non mi conviene perdere un bel niente, mi limito nella mia finta indifferenza e tuttalpiù ogni tanto ti stalkero la bacheca, stando ben attenta a non cliccare mipiace).

A volte mi domando se sono così perché sono un’archeologa in erba o, molto più semplicisticamente, ho la “sindrome del rigattiere“: quella compulsività che ti fa accumulare biglietti-scontrini-buste-scatole per paura di dimenticare, per paura che un’altra esperienza così bella non la vivrò mai più, perché il tempo va, passano le ore e tu diventi grandi e ti fai forte e la vita è un brivido che vola via.

Balle. tutte balle.

In nome dell’unicità del tempo passato ho fatto tante cose stupide. Qualcuna si ripercuote ancora nel mio presente, me la trascino, come alibi a situazioni future “non lo vedete che sto soffrendo? non ce l’ho scritto in fronte che sono spaventata come un elefante che ha appena visto un topolino? lasciatemi stare, sono un’anima in pena sfortunata, non starò bene mai…” 

(Anche queste sono balle)

Una cosa stupida su tutte è stata quella di scemunire, st’estate, prendere un Megabus e un Flixbus (giusto per provarli entrambi in un viaggio solo) per farmi non so quanti chilometri riassumibili in qualcosa come 22 ore all’andata e 25 al ritorno (c’era più traffico) perché qualcuno un po’ di tempo prima mi aveva detto: “se esistesse la macchina del tempo io e te avremmo un’altra possibilità“…Io non sono una donna di scienza, non credo che farò mai un’invenzione in vita mia…ma mi so mettere in gioco; so dormire buona buona per tanti chilometri oppure so impiegare il tempo in viaggio per scrutare dal finestrino ogni minimo cambiamento; non ho paura di spostarmi da sola e credo di essere simpatica al dio dei viaggi, che forse mi vuole bene perché sa che viaggiare è una delle poche cose che davvero mi piace da morire.

Tornando a noi, io la macchina del tempo in quei giorni caldo-umidi di luglio gliel’avevo portata fin là, fino alla terra dei luppoli. In tutta risposta ho avuto, come canterebbe il caro De Andrè, solo qualche svogliata carezza e un po’ di tenerezza.

Ah, no…ecco: se mi ricordo bene, mi disse anche: “ma chi te l’ha fatta fare una traversata così… io non lo farei mai“.

Dopo sei mesi ho saputo che ha preso qualcosa come 4 voli diversi, attraversato almeno altrettanti fusorari per raggiungere un altro continente e passare il Natale con una giovane donzella conosciuta durante un corso di aggiornamento, ad agosto.

Cosa ci insegna questa storia?

Che mai dire mai è un cazzutissimo proverbio che ha un senso compiuto; che non bisogna sottovalutare le partecipazioni ai corsi di formazione aziendali e che, probabilmente, se le cose non sono semplici, non sono degne di nota.

Sembra una frase fatta ma…le cose che sono davvero fatte su misura per noi, in questa vita, sono quelle che vengono da sè.

Ah, e ora credo di poterlo dire davvero con la massima e piena cognitione di causa: la minestra riscaldata non è per niente più conveniente della fatica di prepararne una nuova, con nuovi ingredienti.

Per tutto il resto…A me viaggiare da sola piace da morire. Meglio se non c’è nessuno da raggiungere, stavolta.

Nessuno e niente, tranne una nuova mirabolante avventura.

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se vedete in giro una pazza con uno zaino del genere…fuggite, sciocchi!

 

 

 

 

L’effetto Al Bano e Romina. Fenomenologia del ritorno a note spiegate

29 maggio 2015. A volte ritornano.
29 maggio 2015. A volte ritornano.

Io sono un po’ stronza, debbo ammetterlo, e come direbbe un mio amico “andrai all’inferno per questo” :  lo so e mi pregusto le fiamme di Lucifero. Sarà così anche perché durante questi anni di singletudine, forzata o no, ho sempre consigliato ostinatamente la stessa cosa a chiunque fosse stato mollato, avesse mollato, sia stato in quel perifrastico procinto di lasciare qualcuno: non tornare mai indietro. È stato il mio mantra per anni, quel “mai tornare indietro, neanche per prendere la rincorsa” attribuito ad Andrea Pazienza, ma poi rivelatasi una citazione di Che Guevara, io lo scrivevo ovunque, tanto che dopo aver fatto il Cammino di Santiago mi son fatta tatuare pure una freccia disegnata sotto il polso sinistro per ricordarmi che la direzione giusta è sempre e solo quella in avanti.

da
da “Le straordinarie avventure di Pentothal”, pag 86

Eppure, eppure la coerenza ogni tanto si allontana dalle mie parti e, come una punizione karmica, quanto più io sia ostinata a fare la femmina vissuta e a consigliare a chicchessìa che tornare indietro è come regredire, tanto più la vita (o la mia demenza senile precoce) mi fa mordere la lingua e mi fa imbattere in veri e propri fantasmi. Li avevo citati nel post precedente perché, appunto, come uno di quei temporali estivi inconcludenti, l’aria era insopportabilmente umida e appiccicaticcia già da un po’ di tempo e, ora che i lampi ed i tuoni son spariti e mi sono presa un raffreddore per l’acqua presa senza ombrello, tutto è tornato più caldo stagnante e insopportabile di prima.

Secondo me è tutta colpa di Al Bano Romina Power: mi son guardata bene dal rimanermene attaccata alla televisione la sera della loro, ormai storica, serata all’ Arena di Verona ma quel riproporsi nei giorni seguenti delle scene più succulente tra sguardi di intesa, balletti a due e (finta?) affinità perenne, nonostante la Lecciso, nonostante i mille anni passati lontani, devono aver lasciato una traccia nel mio cervellino bacato (giusto perché continuare a dare la colpa delle proprie azioni agli altri, soprattutto se sono esseri mitologici della cultura musicale/televisiva italiana, ha sempre quel fascino a cui io non so arrendermi…giammai!)

Quindi, visto che l’ironia è l’unica via ora e sempre, fratelli, dopo una settimana ad arrovellarmi il cervello e a sentir sbattere i pensieri nella mia testa come falene verso la luce, son qui a cercare di fare i conti con quei fantasmi che ho tentato di richiamare dall’oltretomba, non per affrontarli: onestamente ora non ne avrei nemmeno la forza psicofisicamorale, ma per rintanarli di nuovo sotto il tappeto, nell’angolo più remoto del cassetto dell’armadio, in quella scatola in cima alla libreria; sperando di avere la forza di lasciarli lì anche la prossima volta che mi sentirò “sfhola e abbandonata” .

E dato che in queste situazioni non c’è nulla di più confortante della musica e della scrittura son qui a cercare timidamente di convogliare le falene sbattenti della mia testa in una supermegafantaclassifica a note spiegate:

#1. Fiori rosa, fiori di pesco: il ritorno ritardatario

c’eri tu. Appunto, c’ero.

Tralasciando il fatto che ho appena scoperto che questa canzone ha giusto 45 anni, è stata pubblicata l’8 giugno 1970, potrebbe essere stata scritta dal grand master Mogol e dal nostro caro angelo Lucio anche ieri ma il succo non cambia; io dalla prima volta che l’ho ascoltata immagino sempre lei che non può fare altro che dir questo:

“Sei arrivato in ritardo, Ciccio…Sì, mi stanno tremando le mani, ma togliti immediatamente dalla testa che sia per l’emozione di vederti; piombi così, nel bel mezzo della notte, come uno stalker, a casa mia…anzi, onestamente forse non avrei proprio dovuto aprirti…ho aperto solo per carità cristiana perché, in effetti, non avevo nemmeno ben capito chi cacchio fosse alla porta e credevo chissà cosa fosse successo…

Come dici? Solo credevi di volare e non voli? Eh, ma dopo un anno cosa pretendi che ci possa fare io?!? Ecco, hai svegliato pure il mio moroso, ora mi tocca pure spiegargli chi sei…Vabbè, dopo un immaturo come te me lo son preso un po’ più grande, ma ora on chiamarlo signore mi sembra un po’ esagerato…Sì che siamo stati lontani ed oggi è oggi e domani, lo sai meglio di me, è un altro giorno, solo questo posso dirti che è vero…”

Finalmente lui si rende conto che sta davvero sfiorando il ridicolo, lei riesce a cacciarlo via, si chiude una porta e si apre decisamente un sorriso.

#2. La descrizione di un attimo: il ritorno paraculo

…ci rivediamo presto, tra almeno altri cinque anni. E menomale che ti ha fatto piacere rivedermi.

Quando penso agli anni 2000 mi vengono in mente i miei 12 anni e tutte le situazioni del caso; è inutile che scriva alle nuove generazioni e che ribadisca alle vecchie quanto era bello il mondo quando MTV era un canale solo e solo musicale.

Questa canzone in me risveglia quelle sensazioni da TRL o Hitlist Italia: non potrò mai essere obiettiva.

Eppure, con tutti i sentimentalismi del caso, generati dal proficuo sodalizio Zampaglione-Sinigallia io questa canzone debbo includerla nel ritorno paraculo.

È evidente che qui ci troviamo davanti ad un frequente caso di homo mestruatus che, come tutti i suoi simili, vive quel particolare periodo del mese di 28(29)-30-31 giorni al mese:

non si capisce dove si vuol andare a parare, l’homo ci tiene a dirmi ad inizio canzone che non mi vede più come un tempo,

“le convinzioni che cambiano e crolla la fortezza del mio debole per te” 

mi fa piacere, anche se non ti avevo neppure chiesto ancora “come va?”;

poi via con lo sminuire il povero cristo che sta con me con “anche se non sei più sola, perché sola non sai stare e credi che dividersi la vita sia normale” , scusami se mi sono rifatta una vita…

meno male che la memoria dell’homo scivola sul “Viale della Rimembranza” che rende tutto più luccicante, non senza una dose di cazzimma l’homo mi fa presente che, nonostante nel 2000 facebook fosse solo nei sogni più reconditi di Zuckemberg, lui sa: “mi hanno detto dei tuoi viaggi, mi hanno detto che stai male, che sei diventata pazza ma io so che sei normale” , sinceramente credo che i conoscenti che abbiamo in comune siano degli stronzi, ma grazie perché confidi ancora nella mia salute mentale.

Con queste premesse io, personalmente, non saprei proprio cosa rispondere ad un homo mestruatus, menomale che conclude lui la conversazione con la più paraculo delle frasi che si possano dire: “aspettami oppure dimenticami” (???) e quel “ci rivediamo presto, tra almeno altri cinque anni” che suona tanto come una minaccia: a stò punto credo che possa sopravvivere egregiamente altri 50 anni senza incrociarti più, grazie per avermi detto “come sempre sei bellissima” ma davvero attimi così non vorrei né descriverli né viverli più…e cerca di non starmi così vicino perché altrimenti rischiamo che il mio ciclo si sincronizzi col tuo.

#3. Qualcosa di meglio: il ritorno tenerello

…possiamo riguardarci negli occhi. Ma non troppo, però.

Partendo dal presupposto che ho avuto modo di fare qualche incontro ravvicinato con Niccolò Fabi ed è davvero così dolcino e tenerello come sembra, non c’è da meravigliarsi se per lui rincontrare una ex sia davvero come dovrebbe essere:

“quella cosa non c’è più, possiamo riguardarci negli occhi”, questo è un incontro maturo, pieno di tenerezza per il bene che c’è stato e che ci sarà comunque, anche se il loro cammino li ha portati a prendere due strade diverse:  “se non fu amore il nome non so dirti qual è ma almeno durerà per sempre” .

Lui le dice “chiamami tranquillamente se ti mancheranno le mie vene” ma sa benissimo che lei non lo farà, che adesso c’è qualcun altro, che la vita almeno stavolta è andata avanti.

Ho sognato tante notti di affrontare un incontro con questa verve e forse non ci sono mai riuscita davvero: ogni volta l’immaturità aveva la meglio e spuntavano frecciatine cattive e un inutile e stupido desiderio di rivalsa che inaspriva i toni e rendeva ridicolo e inutile l’essersi visti.

Niccolò sa anche che una situazione così delicata come questa, con le proprie difese davvero abbassate non può durare molto: “ è stato molto bello rincontrarsi ma l’insicurezza sta per tornare, ti bacio e ti saluto, ora devo andare via“;  forse non si rincontreranno per molto altro tempo, ma la vera cosa che conta è quella sensazione di affetto e di serenità che aleggia su loro, sulla propria vita di adesso e su tutti i ricordi del passato.

#4. La lontananza: il ritorno immaginario

…ciao, non piangere, vedrai che tornerò. Voglio sapere il giorno e l’orario preciso, che magari non mi faccio trovare.

Il 1970 deve essere stato proprio un grande anno, ci sarà stato qualcosa nell’aria: forse le polveri dei cantieri che nel nome dell’abusivismo edilizio cementificavano le nostre campagne senza ritegno né onore, forse lo sventolio delle mazzette e tangenti che ci hanno rovinato per tutti gli anni a venire, sarà, ma ecco un altro pezzone proprio di quell’anno.

Qui, oltre a tutti gli innumerevoli problemi che una coppia solitamente deve affrontare, ci si mette anche la logistica: lui sta per partire e dato che, come asseriva il buon Lello Montaigne (se non avete visto “Ricomincio da tre” rimediate immediatamente!), “chi parte sa da che cosa fugge ma non sa che cosa cerca” , l’amico Modugno forse ignorava che, dopo un anno sarebbe stato ancora lì a rimurginare sulla cazzata commessa nel lasciare la sua bella e nel maledire la distanza, “adesso che è passato tanto tempo darei la vita per averti accanto“.

Per me il ricordo di una persona lontana buttato così, come un sentimento volante o, addirittura, come una spada di Damocle sulla testa è un po’ una scusa: è come fare l’amicone con quel tuo amico che mal sopportavi nella quotidianità ma che dopo la sua partenza per lavoro stai lì a mandargli tutti i giorni emoticons con cuoricini dicendogli quanto ti manchi.

Sarà che mentalmente sono un po’ tarata, ma a me le cose sospese ed aleggianti non piacciono; ho creduto sempre, forse erroneamente, che il cuore, prima di ogni altra situazione, se sincero debba spingere l’agire. Ma un agire deciso e non pieno di paroloni retorici.

Per me dire certe cose e poi non comportarsi di conseguenza è peggio che non dirle.

Per questo son qui, alla tastiera, sperando che questa confusione mentale passi presto e che, al di là delle pippe del caso, possa rendermi conto ogni giorno di più che quello che deve succedere, succederà.

E poi, come direbbe il buon Giovanni Truppi:

“che banalità
tutte queste cose che pensavamo fossero
solo nostre alla fine le vivono, le piangono
(sentendosi tra l’altro unici) diecimila altre
coppie di cazzoni”

19 Gennaio, una grande canzone di ritorni anche questa.

Ergo, seppur il ritorno porta addosso mal di testa e mal d’anima, di ritorno non è mai morto nessuno.