Senza mani, senza piedi (e senza sellino)

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Ultimamente dormo massimo sei ore a notte, precisamente dalla prima notte in cui ti ho scritto.

Mi piace pensare che quelle ore mancanti alle mie canoniche otto siano in giro;

a far compagnia alle mie occhiaie, pronte a ricordarmi allo specchio che mi manca qualcosa;

tra le sigarette che ho fumato di notte, insieme a qualcuno, sotto casa mia prima di scendere dall’auto, quando sembra che il tempo si cristallizzi e vengono raccontate grandi verità, ci sono risate vere e piani per un domani che è già oggi;

nei bicchierini di Jageirmaster che bevo con le ragazze dietro il bancone, se la serata al club va bene, se va male, basta che sia con ghiaccio perché pure quello si mastica, mentre sto per fumarci su;

tra le parole delle canzoni che ho sempre ascoltato e che ora il mio cervello ha stabilito dovessi c’entrarci anche tu, maledetto;

tra le ruote della mia auto, tra i chilometri che ho macinato cantando per farmi compagnia, per ristabilire la mia dose quotidiana di allegria obbligatoria, mandando saluti a bambini annoiati che mi guardano dal sedile posteriore;

tra il cloro di una piccola piscina di provincia, tra il mio imperfetto stile dorso, le articolazioni che scricchiolano spaventosamente e i giorni persi da recuperare, in questa vita o in un’altra;

nei miei pensieri contorti come grovigli che si diramano dalla mia testa dura, una strana alternativa ai capelli che, ostinatamente, taglio via, quasi come se fossero loro gli unici veri colpevoli della mia confusione mentale.

Le mie ore di sonno mancanti, forse, stanno facendo compagnia alle tue, perse in altre situazioni che non mi toccano.

I pensieri, il tempo, i soldi, ognuno li spende come vuole.

Ma a me piace immaginare che in un universo parallelo ci siano due come noi che si prestano il sonno perduto. Ritrovandolo nelle medesime cose.

Vicini, in quel mondo e in quel modo.

(ricominciare a pensare di fidarsi di nuovo di qualcuno con, stavolta, uno sguardo meno miope del tuo, sembra sempre più difficile; come andare in bici con mille sadiche varianti: senza mani, senza piedi, senza sellino… e qui sò dolori)

Intanto, continuerò a perdermi in questa intricata Babilonia.

 

 

 

Quando il cuore sanguina mettici un cerotto (però colorato)

È il mese di Aprile, sono in ritardo, come sempre, e vado, affannata, a lavorare dalla mia Clara. Mentre scatta il rosso, dall’altro lato del semaforo li vedo.

Lui e lei. Ho appena ascoltato un suo audio nel gruppo whats in cui siamo tutti insieme, o meglio eravamo, prima che fuggissi anche da quel gruppo; e non mi aspettavo di incrociarli lì.

Lui, col suo bel sorriso scintillante da ragazzino, nonostante sia un uomo, le parla e lei lo guarda distrattamente. Ovviamente non mi hanno notato e ne sono sollevata.

Scatta il verde e non mi muovo. Ci vuole il clacson dell’auto dietro per farmi ripartire; rimetto in moto con la mia bella nube di pensieri in testa fino a destinazione.

C’era una lista che avevo fatto quando, tre anni fa, l’ennesimo Ohdeidell’Olimpoluièproprioquellogiustoperme mi aveva fatto capire con il suo silenzio che io non ero quella giusta per lui, la lista delle coppie: un elenco di persone vicine a me che mi sembrava vivessero un ammore con la A maiuscola, uno di quelli belli, dove si vive insieme ma non in simbiosi, quelle coppie che da fuori ti fanno provare un po’ di invidia mista a speranza, che se il karma ha premiato loro, prima o poi la ruota girerà anche per te.

Ovviamente questa lista è una roba un po’ da psicopatica immatura, lo ammetto.

La loro coppia, quella di lui e lei, invece, da fuori non mi sembrava degna di entrarci nella lista; troppe rotture, troppi dissapori, troppa vita ai miei occhi non condivisa, troppe crepe (la domanda che ancora mi pongo è… chi cazzo sono io per poter giudicare da fuori un ecosistema così delicato come una relazione?).

In una di queste crepe mi ci sono infilata io, circa tre mesi dopo quel semaforo. Questo è un dato di fatto. Non l’avrei mai immaginato, mai davvero, eppure è successo. Quando per me era diventato un peso essere nella stessa stanza con entrambi sono esplosa e mi sono fatta avanti. Non volevo fare tutto questo rumore, volevo solo togliermi un peso, scrollarmi un dubbio, eppure ho fatto cadere le pedine del domino. Sono caduta io, è caduto lui, è caduta lei. Non lo so se sarebbero caduti ugualmente, so che sarei potuta rimanermene tranquilla con le mie mirabolanti avventure da sfigata che cerca di arrabbattare un po’ di affetto e invece si impelaga in incontri da Tinder o, peggio, ferisce persone che non avrebbe mai voluto ferire.

Ma è successo, è cambiato qualcosa e con un po’ di presunzione e ancora mille sensi di colpa inutili dal mio punto di vista, l’ho fatto succedere anche io.

Quel che dovrebbe accadere ora non lo so. Ieri ero seduta al tavolino di un bar con un’amica e parlavamo di tre compagne di corso incappate in storie da cuscinetto: tu stai con lui, state bene, poi lui rivede lei, impazzisce e ritorna con lei. Forse fa parte della sfiga dell’archeologa (o del masochismo dell’archeologa, mi verrebbe da dire, certo è che la vita faticosa ce l’abbiamo proprio per deformazione). Mi ripeto che andrà tutto bene, che andrò avanti come sempre, anche se ho provato ad installare Tinder un’altra volta ma l’ho disattivato dopo 24 ore, di nuovo. Io sono quella che si dice forte, quella che non vuole tornare indietro nonostante ci sia tornata tante volte fino ad arrivare a dei punti di non ritorno dettati dagli altri, mica da me.

So che a questo punto il mio l’ho fatto. So che è bello quanto devastante avere i pensieri concentrati su qualcuno che con te non vuole starci, per motivi ragionevoli o meno, so che in fondo rimpiango quei tempi in cui il mio cuore era come una pietra muta, incapace di pulsare. Quante volte ho invidiato chi mi era vicino e aveva un cuore pulsante per qualcuno eppure, adesso che il mio batte ad un ritmo che non riesco a controllare, mi sento persa.

Oggi, quando sono uscita dalla doccia mi sono graffiata il petto, sotto il tatuaggio, all’altezza del mio muscolo involontario. Ci ho messo un cerotto, uno di quelli colorati, per bambini, gli unici che ho e che tollero. Mi sono vista allo specchio e ho sorriso.

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Ora ho un cuore rattoppato.

Poi sono salita su, ho preso quella stupida lista e l’ho strappata.

Non devo guardare gli altri, non devo prendere le loro storie da esempio nè devo lasciarmi condizionare da quello che mi viene raccontato.

Devo solo mettere una mano sul mio graffio, ascoltare e aspettare che si risani. Da solo.

(intanto premo Play)

L’ammore overo (il vero amore non è mai una spina nel fianco)

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Stanotte l’ho sognato, un’altra volta.

Non sopporto questa cosa, perché finalmente sono riuscita a mantenere quell’indifferenza zen durante il giorno ma… la notte, per me, è ingestibile.

É una roba che, poi, mi rovina la giornata seguente perché più che pensare a lui, penso al sogno…”che vorrà dire?“…vorrei che la me lucida e razionale (che poche volte alberga in me, ammettiamolo) rispondesse in fretta: “semplicemente che non devi mangiare mezzo pacchetto di patatine mezz’ora prima di andartene a dormire, se vuoi avere sogni sereni…” …

Già, perché i sogni con lui non sono sereni e nè lo sono stati, a mia memoria.

E allora mi guardo dentro e penso che “ammore“, lui, non lo è stato mai.

Mi piacciono le coppie attempate, quelle mature, quelle che si concedono gesti affettuosi, ancora, dopo trent’anni di vita, di sopportazione, insieme. Se sono così carini da vecchi, immaginiamoci da giovani.

E allora, poi, mi viene da pensare al perché molte persone a me care e me stessa, per prima, si accontentino di un amore di serie B, un amore spina nel fianco, un amore tanto croce poca delizia, un amore da visualizzato e non risponde?

Io non ce la posso fare. Ho fatto così tante cose stupide in nome dell’amore che credo di essermele bruciate tutte… basta.

Mi basto.

E se lui dovesse ritornare nei sogni… che ritorni. Io, però, nella vita reale non lo aspetto, da un pezzo.

Ps: non so di che sostanza sia “l’ammore overo”, ma so che avrebbe di sicuro questa colonna sonora: