
Non sono pronta.
Ma non lo sarò mai, davvero, completamente.
Mi ripeto che non ho un buon equipaggiamento nel mio zaino, quello enorme della decathlon che ho rubato a mio fratello, eppure, quando sono arrivata all’ostello, a Catania, un paio di settimane fa, la giovane donna finlandese che dormiva nel letto a castello con me (io, ovviamente avevo il letto superiore; non importa se stia viaggiando o se stia in vacanza al mare, per qualche stranissima ragione sono anni che capito solo al letto-di-sù – a volte anche senza scaletta e sponda e lì, sono risate) mi ha chiesto se venissi da un lungo viaggio, perché avevo lo zaino stracolmo (e io venivo solo da Caserta, e solo lì sarei tornata).
Eppure non è stato sempre così. Quando sono partita per un tratto del Cammino di Santiago, per esempio, gli altri pellegrini mi chiedevano come facessi a mettere tutto nella mia bonita mochilla, il mio zaino Invicta delle medie, che pesava pochissimo ma aveva tutto quello che poteva servirmi, se non di più.
Devo aver perso per strada, in questi quattro anni e mezzo, il senso della leggerezza, e non solo nel preparare un bagaglio.

Il vero problema è che sto portando con me l’equipaggiamento sbagliato. Devo buttare un bel po’ di fardelli pesanti, devo sopportare l’idea che si possa sopravvivere solo con tre mutande ma devo lavarne una a sera, e soprattutto devo averne voglia.
In questo preciso momento della mia vita mi sento proprio così: è un periodo pieno come un calderone di roba puzzolente che ribolle e ribolle, ma non cuoce mai. É davvero necessario che mangi anche questo? Posso sopravvivere senza? É proprio quello che voglio? Non è che, intanto, mentre decido se aspettare definitivamente o no, possa occuparmi di qualcosa di diverso e vedere se mi piace di più?
Se ripenso a questi ultimi anni mi sento come in stand-by: non ho ancora finito l’università, che forse in cuor mio non voglio finire davvero; barcamenata tra lavori che sì, son serviti a sviluppare la mia sensibilità e mi hanno messa duramente alla prova (non è da tutti, e qui lo dico con una punta di orgoglio, ritrovarsi a fare da badante-perchè questo ero a tutti gli effetti- ad una ragazza paraplegica ma riuscirci, superare la disabilità, arrivare a diventare sua amica per la pelle, soprattutto se non hai altra formazione che la tua sensibilità e voglia di fare); ritrovarsi di nuovo a mettersi in discussione, con una sola certezza, quella che le parole, le parole scritte, le parole che scrivo, siano l’unica costante della mia vita, da quando ero bambina ad ora.
Mi guardo adesso e nei momenti più tinti dallo sconforto mi ritrovo con un bel niente in mano. Ma non è troppo tardi, non lo è mai. Dovrei tatuarmela in fronte questa frase, magari al contrario, così quando mi guardo allo specchio me ne ricorderei più facilmente.
Non è tardi per finire gli studi, per rimettermi a studiare, partendo anche dai documentari del Sommo Alberto Angela, che tanto adoro e mi appassionano.
Non è tardi per decidere di farmi tre ore di camminata a settimana con i miei cani, perché i miei (e i loro) muscoli hanno bisogno di sentirsi vivi, così anche i pensieri vagano meglio nella testa, che mi auguro diventi ogni giorno di più un contenitore, non una gabbia.
Non è tardi per studiare, approfondire, capire, il mondo della scrittura sul web, perché più passa il tempo, più sento che quella sia la strada giusta. Sarà una vita da freelance, e sarà anche una vita di merda, come dicono tutti quelli che conosco e che ci sono già passati, ma io ho poca dimestichezza con gli orari di ufficio e con i superiori, in generale.
Ho deciso di partire da un impegno costante: ogni mercoledì, qui, su questo che reputo il mio primo figlio, lascerò una traccia di questa risalita, di questa costruzione cosciente di me stessa.
Il mercoledì mi è sempre piaciuto, io sono nata di mercoledì, per dirne una.
Sarà difficile, all’inizio mi sentirò anche un po’ stupida, ma sarà una partenza.
Per una volta partire davvero. E se si dice che il viaggio conti quanto la meta, sono pronta a guardare dal finestrino.
Ho pur sempre la musica che mi accompagna.
