Ci sono partenze che non partono mai

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foto regalata da Miriam Mercore che, tra le tante cose, racconta e guarda la provincia, in particolar modo la mia, in un modo molto simile a quello con cui ci si ferma a guardare un rudere antico, un affresco scolorito in una chiesa: curiosità, frustrazione, amore. Le sue parole e i suoi sguardi li trovate anche qui, sul blog ” Il rumore delle cose“.

Non sono pronta.

Ma non lo sarò mai, davvero, completamente.

Mi ripeto che non ho un buon equipaggiamento nel mio zaino, quello enorme della decathlon che ho rubato a mio fratello, eppure, quando sono arrivata all’ostello, a Catania, un paio di settimane fa, la giovane donna finlandese che dormiva nel letto a castello con me (io, ovviamente avevo il letto superiore; non importa se stia viaggiando o se stia in vacanza al mare, per qualche stranissima ragione sono anni che capito solo al letto-di-sù – a volte anche senza scaletta e sponda e lì, sono risate) mi ha chiesto se venissi da un lungo viaggio, perché avevo lo zaino stracolmo  (e io venivo solo da Caserta, e solo lì sarei tornata).

Eppure non è stato sempre così. Quando sono partita per un tratto del Cammino di Santiago, per esempio, gli altri pellegrini mi chiedevano come facessi a mettere tutto nella mia bonita mochilla, il mio zaino Invicta delle medie, che pesava pochissimo ma aveva tutto quello che poteva servirmi, se non di più.

Devo aver perso per strada, in questi quattro anni e mezzo, il senso della leggerezza, e non solo nel preparare un bagaglio.

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tipico esempio di strada trafficata della Galizia

Il vero problema è che sto portando con me l’equipaggiamento sbagliato. Devo buttare un bel po’ di fardelli pesanti, devo sopportare l’idea che si possa sopravvivere solo con tre mutande ma devo lavarne una a sera, e soprattutto devo averne voglia.

In questo preciso momento della mia vita mi sento proprio così: è un periodo pieno come un calderone di roba puzzolente che ribolle e ribolle, ma non cuoce mai. É davvero necessario che mangi anche questo? Posso sopravvivere senza? É proprio quello che voglio? Non è che, intanto, mentre decido se aspettare definitivamente o no, possa occuparmi di qualcosa di diverso e vedere se mi piace di più?

Se ripenso a questi ultimi anni mi sento come in stand-by: non ho ancora finito l’università, che forse in cuor mio non voglio finire davvero; barcamenata tra lavori che sì, son serviti a sviluppare la mia sensibilità e mi hanno messa duramente alla prova (non è da tutti, e qui lo dico con una punta di orgoglio, ritrovarsi a fare da badante-perchè questo ero a tutti gli effetti- ad una ragazza paraplegica ma riuscirci, superare la disabilità, arrivare a diventare sua amica per la pelle, soprattutto se non hai altra formazione che la tua sensibilità e voglia di fare); ritrovarsi di nuovo a mettersi in discussione, con una sola certezza, quella che le parole, le parole scritte, le parole che scrivo, siano l’unica costante della mia vita, da quando ero bambina ad ora.

Mi guardo adesso e nei momenti più tinti dallo sconforto mi ritrovo con un bel niente in mano. Ma non è troppo tardi, non lo è mai. Dovrei tatuarmela in fronte questa frase, magari al contrario, così quando mi guardo allo specchio me ne ricorderei più facilmente.

Non è tardi per finire gli studi, per rimettermi a studiare, partendo anche dai documentari del Sommo Alberto Angela, che tanto adoro e mi appassionano.

Non è tardi per decidere di farmi tre ore di camminata a settimana con i miei cani, perché i miei (e i loro) muscoli hanno bisogno di sentirsi vivi, così anche i pensieri vagano meglio nella testa, che mi auguro diventi ogni giorno di più un contenitore, non una gabbia.

Non è tardi per studiare, approfondire, capire, il mondo della scrittura sul web, perché più passa il tempo, più sento che quella sia la strada giusta. Sarà una vita da freelance, e sarà anche una vita di merda, come dicono tutti quelli che conosco e che ci sono già passati, ma io ho poca dimestichezza con gli orari di ufficio e con i superiori, in generale.

Ho deciso di partire da un impegno costante: ogni mercoledì, qui, su questo che reputo il mio primo figlio, lascerò una traccia di questa risalita, di questa costruzione cosciente di me stessa.

Il mercoledì mi è sempre piaciuto, io sono nata di mercoledì, per dirne una.

Sarà difficile, all’inizio mi sentirò anche un po’ stupida, ma sarà una partenza.

Per una volta partire davvero. E se si dice che il viaggio conti quanto la meta, sono pronta a guardare dal finestrino.

Ho pur sempre la musica che mi accompagna.

 

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Per questo post e per tutti quelli che ne verranno ogni mercoledì ho creato una playlist sul tema del viaggio-andante-chi parte sa da cosa fugge ma non sa quello che trova. E dato che non sono nè sarò mai una nerd ma mi piace smanettare sul pc, se apri questo QRcode la puoi ascoltare anche tu. Non è virus, giuro!

Sorelle fantastiche e dove (ri)trovarle

Ci rivediamo dopo tre anni. Ci riparliamo dopo tre anni, per la precisione. Ho il cuore che mi batte più forte del normale e ho visto che quando mi sono avvicinata hai fatto uno sguardo un misto tra la paura e il sorpreso. Ho rotto il ghiaccio con il massimo dell’acidità che avevo in corpo e tu mi hai presa sottobraccio, perché lo hai sempre saputo che non so bluffare, non so giocare a poker, non so giocare a nessun gioco con le carte in realtà, se escludiamo la scopa e assopigliatutto, ma lì non serve a molto fare una faccia impassibile.

Diamo i nomi alle cose: migliore amica; sei stata la mia migliore amica per quattro lunghissimi e intensissimi anni; anni in cui mi sono innamorata, sono stata delusa, mi sono rinnamorata, ho viaggiato, studiato, ascoltato, bevuto. Tra i miei 20 e i 24 anni.

Anni che, per i successivi quattro ho cancellato, negato, odiato.

Fino alla scorsa estate; quando mi si è aperto il cuore, quando la percezione delle cose è cambiata, quando sono riuscita a guardare con occhi nuovi tutto ciò che di più familiare avessi. E sono ritornata in uno dei luoghi dell’anima più amati della mia vita. Un gruppo che avevo abbandonato proprio quattro anni fa ma che fa ancora parte di me. Lì c’eri anche tu.

Gli anni andati l’una senza l’altra, tutti gli accadimenti, voluti o no, nelle nostre vite, hanno fatto in modo che, un mese fa, io fossi sotto braccio con te, che prendessi i tuoi pensieri spaventati con la giusta e dovuta leggerezza.

Ritornare a parlare, con un imbarazzo che se va sempre più via ad ogni parola; ridere delle nostre sventure in amore, questo amore che ci ostiniamo a proiettare su qualcuno da salvare, credendo che sia l’unico modo per salvarci; del fatto che io sembri ancora una scappata di casa che quando si veste decide di non abbinare nessun colore e per non farne arrabbiare nessuno li indossi tutti e tu sei sempre la modaiola shopping-addicted di allora (ora di più, hai uno stipendio, cazzarola!); raccontare i successi, le ansie, le risalite lente ma definitive; questo è stato il mio ultimo regalo dell’anno che è appena finito e il primo di quello che è appena incominciato.

Mi piace pensare che sia successo perché tutte e due eravamo davvero pronte,

Mi piace pensare che sia successo perché doveva succedere, perché le nostre vite sono ancora legate e perché è così che dovrebbe funzionare nelle relazioni: si parla.

Io, che ho sempre investito più sugli amici che sull’amore, quando penso a tutto quello che si è sciolto con te, ne sono profondamente risollevata.

Chiudere il cerchio, farlo davvero, dirsi tutto quello che c’era da dirsi, fare in modo che succeda davvero è una fatica mentale non indifferente. Ma che soddisfazione, poi.

Ora non so come sarà. Quelle due ragazze parcheggiate in una 500 bianca a fumare e ad ascoltare Accireme sono diventate due donne strafighe che in qualche modo saranno ancora a ridere di tutto ciò che “nun è pe’ nient’ buon’…” insieme.

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una foto stupida fatta tanti anni fa di due tatuaggi che, accostati, hanno un grande significato.

(Questo post è dedicato a Lora ma non solo.

É dedicato a tutte le sorelle che ho incontrato sul mio Cammino;  a tutte quelle che porto nel mio cuore, quotidianamente, con me; a quelle che ho perso per strada; a quelle che sono ancora qui a cazziarmi, sopportarmi, ispirarmi. Chi dice che l’amicizia femminile è meno bella e sincera di quella uomo-donna è una bugiarda, e lo sa… basta aprire il cuore, e la strada sarà costellata di alleate che ti porgono una bottiglietta di acqua fresca quando senti che il sole sta picchiando forte. Io ho tante compagne di viaggio, e sono profondamente grata a loro per tutta la pazienza, l’amore e i pensieri che ripongono nei miei confronti. Non è scontato avere delle amiche così, e cerco di non dare per scontata nessuna di loro)