La sindrome della Volpe (quella che piange e quella che disdegna)

14218409_10208710285027208_1520466702_n
menomale che Zerocalcare c’è

Ci sono abitudini cicliche che ritornano quando mi succede qualcosa, o meglio faccio succedere qualcosa, che sbarella i miei equilibri precari:

Tagliare i capelli, rasarmeli quasi a zero.

venerdì sono uscita con il mio amico-cuscinetto: quasi tutti ne abbiamo uno, a volte non ne è solo uno, a volte è un insieme di entità miste che fanno parte della nostra esistenza ma non così abbastanza da poterci leggere i pensieri come tutte quelle altre presenze importanti e costanti che ci circondano. Il mio amico-cuscinetto, dicevo, ha questa capacità telepatica di farsi vivo sempre nei miei momenti peggiori: una sfiga e una costanza da pochi. In una vita parallela siamo fidanzati da quattro anni, andiamo per concerti insieme e litighiamo su quale cd mettere in auto quando scendiamo a prenderci una birra; in questa siamo due malinconici che ciclicamente si rincontrano, si annusano un po’ e poi si fermano a raccontarsi le proprie sfighe odierne. In questa vita il mio amico-cuscinetto non potrà mai essere qualcosa di più perché non gli piacciono i miei capelli corti, e io non sopporto il fatto che lui non capisca che io sono una da capelli corti, che non è solo un taglio, è il mio modo di dire al mondo quello che sono, nonostante tutto.

Comunque, dicevo, quando il mio amico-cuscinetto (che, ovviamente, ha un nome ma non lo riporterò mai alla ribalta) mi dice “tu sì troppa bella ma tien’ stì capill’ a’ uomn’” a me viene l’impulso di tagliarli ancora di più, per allungare le distanze ancora un altro po’.

Comprare un anello nuovo.

avere i soldi in tasca e capitare per caso accanto ad un mercatino artiginale, pensare che cinque anelli per dieci dita siano ancora troppo pochi e comprarne un altro. Bello davvero, con una pietra grande verde e viola, i colori della speranza e della sfiga, contemporaneamente. Perché è così che ti senti ogni volta che compri un anello nuovo dopo aver avuto una delusione d’ammore: sfigata ma speranzosa che il fosso scampato sia passato definitivamente. Ci vuole tempo, ok. Ma che passi in fretta, questo maledetto.

Contattare il mio unico ex con cui ho ancora un rapporto e andarci a prendere un caffè:

A. è tanto un bravo raagazzo, se non fosse che ci siamo lasciati prendendoci a schiaffi. Durante un concerto. Davanti a quelli che poi sono diventati i miei attuali amici.

Con una fine così, chi non vorrebbe mantenere un rapporto civile, fosse solo per mondare l’ultima immagine che il pubblico, ma soprattutto noi, abbiamo del nostro ultimo saluto?

Di tanto in tanto uno di noi si rifà vivo, di solito succede una volta all’anno, e riprendere un caffè con lui è sempre divertente; vedere quello che si è diventati l’uno senza l’altro, dare giudizi spassionati e consigli che sappiamo benissimo entrambi non verranno seguiti.

È il nostro modo di dirci quanto ancora ci si voglia bene. Magari un po’. Magari in memoria di una storia strana, piena di contrasti ma anche di crescita (ma anche no). Magari perché, non lo ammetterò mai, ma mi fa piacere, davvero.

Farmi venire la Sindrome della Volpe.

C’è questa volpe, nella favola di Esopo, che non si è applicata abbastanza per arrivare all’uva (oppure, giusto per darle il beneficio del dubbio, obiettivamente è davvero tanto difficile e rischioso arrivarci) che dice che l’uva è acerba, che a lei l’uva non piace nemmeno, che l’uva non sazia abbastanza. Eccomi qui.

Mi butto a fare una cosa, però i primi aspetti che noto sono i difetti, non i pregi. Disdegno, mi illudo che l’uva è davvero tanto lontana e acerba, mi accontento di quello che trovo in giro o, peggio ancora, digiuno, magari per altri quattro anni.

Questo è quello che mi è capitato in questo mese di agosto. Questo è quello che ho il sospetto non sia capitato solo a me, ma anche alla mia uva in questione.

So che è da psicopatici parlare di sè in terza persona, ma questo agosto ho visto due idioti avvicinarsi, pieni di paure, svuotarsele addosso ste’ paure, parole, carezze, per poi ributtarsi addosso altre paure ancora.

La volpe che disdegnava aveva lasciato il posto a quell’altra mitica volpe della letteratura per l’infanzia e non: quella del Piccolo Principe, quella che si lascia addomesticare, quella che sa che per riconoscere una rosa tra mille bisogna perdervici del tempo; quella che sa che per rendere uno svampito bimbo biondo che si è perso nel deserto un amico bisogna “creare dei legami”. Non dico che sia migliore o peggiore di quella di Esopo, semplicemente che sia diversa.

volpe
appunto, quel bimbo biondo era un po’ più che svampito.

È stato bello che la volpe di Esopo abbia lasciato il posto all’altra; non succedeva da anni e a me brillavano gli occhi. Le persone che mi conoscevano mi vedevano meno acida del solito e qualuno ha pure osato chiedermi come mai. La risposta era bella, era una di quelle che fanno sorridere te e pure chi ne ascolta la risposta.

Poi non lo so cosa è successo, non lo saprei nemmeno dire. Fatto sta che un cuore che si apre, dopo anni, dopo le millemila pippe mentali del caso, non si richiude così in fretta. E a me, in fondo, come premio di consolazione rimane quello.

Il mio cuore aperto.

E non so se nel frattempo sono ritornata in modalità Esopo, se ho ricominciato a notare tutte le nefandezze dell’uva. Non mi interessa nemmeno.

In questi giorni di agosto ho avuto dei pensieri felici, mi sono comportata da adulta, ho capito che sono quasi pronta a superare ogni vissuto da amore post-adolescenziale e ad avere un punto di vista più adulto, che, meraviglia delle meraviglie, è arrivato naturalmente.

Forse la mia uva in questione non aveva un naso da drago, un paio di occhiali e un bello sterno su cui è appoggiata da sempre una collanina d’acciaio; forse la mia uva era solo e semplicemente la mia nuova visione del poter vivere un amore (o uno pseudoamore, comunque una cosa di quelle).

E allora ci sono riuscita. Sono comunque graffiata perché non è stato facile salire e dopo averla afferrata sono caduta dalla pianta. Ma ce l’ho. E la sto mangiando. E me la faccio andare bene, non perché in questa vita bisogna accontentarsi, ma perché c’è un limite oltre il quale ti fai solo male.

E anche una volpe stupida come me lo sa.

PS: Per tutto il resto, in questi giorni ci saranno i riti: i capelli, gli anelli, i caffè. Alle volpi piacciono tanto.

volpe1